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<!DOCTYPE html>
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<meta name="author" content="Matteo Scannavini" />
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<title>Tamponi impossibili</title>
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</head>
<body>
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</div>
<div class="text">
<h2>Tamponi impossibili</h2>
<blockquote>
<p>
Il problema che si è manifestato in maniera prepotente nella gestione della pandemia è stato il fatto di
lasciare in secondo piano molte categorie di persone. <span class="strong">Moltissime procedure
messe in piedi per la gestione dell’emergenza sanitaria non hanno tenuto conto dell’esistenza di Stp e
tesserini Eni</span> e altri sostitutivi della tessera sanitaria. E la mancanza di
considerazione di questi due titoli di accesso al Sistema sanitario nazionale ha reso quasi impossibile per
i titolari l’accesso alla diagnosi, quindi ai tamponi e alla vaccinazione”.
<cite>
<b>Cecilia Fazioli</b>, direzione sanitaria dell’Istituto nazionale per la promozione della salute delle
popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà (Inmp) e medico del poliambulatorio
dell’Istituto a Roma.
</cite>
</p>
</blockquote>
<h3 class="subtitle">Invisibili al sistema</h3>
<p>
Per accedere ai tamponi, per esempio, occorreva la <span class="strong">ricetta dematerializzata</span>:
“Questo - prosegue Fazioli - ha creato molti problemi ai titolari di Stp ed Eni perché per i primi funziona solo a
volte e con difficoltà, ovvero la ricetta non arriva, e nel secondo caso non è proprio possibile emettere la ricetta
dematerializzata, in quanto i codici Eni sono validi solo a livello regionale e il sistema di gestione non
li accetta. E un conto è chiamare il medico di famiglia per farsi prescrivere il tampone, un altro conto è
dover contattare gli ambulatori che solitamente sono aperti per queste categorie di persone quando c’è la
pandemia in atto: non si poteva uscire di casa, gli ambulatori hanno iniziato a ricevere solo su
prenotazione, a restringere gli orari, in alcuni casi hanno chiuso.
</p>
<p> Se già prima della pandemia avere
un’impegnativa era complicato, nel 2020 il problema è emerso in maniera plateale in quanto non esistono
procedure
standardizzate che garantiscano l’accesso alle cure a queste persone. Per i titolari di Eni e Stp
si sono dunque moltiplicate le difficoltà di entrare in contatto e comunicare con il Sistema sanitario nazionale.
Di fatto sono diventati <span class="strong">invisibili al sistema di gestione e dunque al Sistema sanitario
nazionale</span>”.
</p>
<p>
<span class="evidence">Una soluzione possibile? “Standardizzare i percorsi per chi ha diritto ad accedere al
Servizio sanitario nazionale”.</span>
</p>
<h3 class="subtitle">Il ritardo nelle diagnosi</h3>
<p>
<span class="evidence">I problemi di accesso a tamponi, visite e prescrizioni di farmaci dei tanti soggetti invisibili
non sono rimasti senza conseguenze.</span>
</p>
<p>
Secondo <a href="https://academic.oup.com/eurpub/article/31/1/37/6070147?guestAccessKey=10f82ce4-429d-4351-a159-97f1e437931e">
uno studio dell’Istituto superiore di Sanità</a> pubblicato sullo <i>European Journal of Public Health</i> a febbraio
2021, per esempio, <span class="strong">i casi di Covid in cittadini non italiani sono stati diagnosticati circa due
settimane dopo rispetto ai casi italiani</span>, e fino a quattro settimane dopo nel caso di migranti provenienti da paesi
con un basso <span class="note"><i>Human development index</i><sup>6</sup></span>. In definitiva, i quasi 16mila
stranieri (non si distuingue tra con e senza documenti) presi in esame hanno ricevuto una diagnosi quando la malattia
era più avanzata e i sintomi più gravi. In generale, è stato osservato un gradiente inverso in base al quale il rischio di ospedalizzazione, ricovero
in terapia intensiva e morte aumentava al diminuire dell'Hdi del paese di origine.
<div class="modal">
<div class="modal-content">
<div class="close">×</div>
<p>
Lo Human development index è l’indice con cui l’ONU valuta il grado di sviluppo di un paese in base
all’aspettativa di vita, l’istruzione e il reddito nazionale pro capite.
</p>
</div>
</div>
</p>
<blockquote>
<p>
Una diagnosi ritardata nei pazienti stranieri potrebbe spiegare la loro maggiore probabilità di presentare
condizioni cliniche che richiedono ricovero, sia ordinario che in terapia intensiva, nonché la maggiore
probabilità di morte osservata in quelli provenienti da paesi a basso Hdi”.
<cite>
<b>Iss.</b>
</cite>
</blockquote>
<p>
Lo studio ipotizza che, tra le cause di questa diseguaglianza, ci sia il fatto che <span class="strong">
“l'assegnazione a un medico di base</span> (il più probabile mediatore per la diagnosi precoce)
<span class="strong">avviene solo in presenza di uno status documentato”.</span> E poi barriere linguistiche,
amministrative, legali, culturali e sociali, il timore di perdere il lavoro o di dover restare assenti dal lavoro
per isolamento/quarantena.
</p>
<p>
Un sondaggio dell’<a href="https://www.who.int/publications/i/item/9789240017924">Organizzazione mondiale
della sanità</a>, che ha coinvolto oltre 30mila rifugiati e migranti nel mondo (e quasi 7mila in Europa)
aggiunge una tessera al puzzle e conferma quanto ipotizzato dall’Iss: i principali motivi per i quali i
migranti non hanno cercato assistenza medica in caso di sintomi sono legati al <span class="strong">costo delle cure,
alla paura di essere espulsi, alla mancanza di assistenza sanitaria o al fatto di non averne diritto. </span>Tra le
persone che non hanno cercato assistenza, il 18.6% non aveva uno status legale documentato, mentre quasi il 30% aveva
un basso livello di istruzione.
</p>
<p>
Risulta infine che la maggior parte dei rifugiati e dei migranti intervistati abbiano preso precauzioni per
evitare l'infezione. Quando non l'hanno fatto, spiegano, è stato <span class="strong">perché non potevano</span>:
per esempio, degli intervistati in Europa, una piccola parte (77 persone) ha risposto che non era in grado di lavarsi
le mani, poco più di 250 hanno detto che per loro è stato impossibile mantenere il distanziamento, mentre per oltre
330 è stato impossibile coprire naso e bocca con adeguati dispositivi di protezione. Ma è sulla possibilità di
evitare i mezzi pubblici e di uscire di casa che ci sono state le più grandi difficoltà per almeno un
intervistato su 10.
</p>
</div>
</div>
</body>
</html>