#Pubblicare il codice pubblico
articolo pubblicato in http://doc.opensensorsdata.it/2016/02/10/Pubblicare-codice-pubblico
Chi segue le nostre attività sa bene che a noi piace prenderci poco sul serio. Oggi vogliamo prenderci 10 minuti di pausa dal nostro consueto stile. Il motivo è semplice. Nel nostro manifesto diciamo di essere imprenditori civici. Con questo post vogliamo dimostrarlo con i fatti. Se, come noi, vi siete battuti e avete lavorato in questi anni per migliorare l’accesso alle informazioni, ai dati e per il riuso delle risorse e per la sicurezza delle infrastrutture pubbliche, vi promettiamo che non rimarrete delusi (semmai vi si rimborsa).
Uno dei principi intorno al quale ruota il nostro asset aziendale è quello di dare alla ricerca tempo e risorse adeguate. Senza, infatti, il comparto aziendale rimane privo di una risorsa fondamentale. La ricerca (a prescindere dalla r maiuscola o minuscola) è necessaria sia per le fasi di sviluppo dei singoli progetti, sia per i cicli gestione; senza di essa è difficile valutare l’evoluzione dell’ecosistema di business –in cui ogni azienda, inevitabilmente, si trova ad operare.
D’altra parte siamo anche consapevoli che i costi della ricerca sono (e devono essere) alti:
-
lo sono in termini di tempo, perché se il ricercatore avesse già trovato le cose che sta cercando, non avrebbe nulla da cercare.
-
Lo sono anche in termini economici, perché il bilancio tirato di un’impresa piccola come la nostra non potrebbe permettersi i seppur bassi stipendi dei ricercatori.
Fortuna che, con quel poco di ricerca che possiamo permetterci, abbiamo capito che le difficoltà menzionate sopra, non sono problemi ma opportunità.
Quando facciamo ricerca in osd, lavoriamo soprattutto con materiale pubblicato, frutto d’investimenti pubblici. Gli articoli che leggiamo vengono dai ricercatori che lavorano ogni giorno nelle nostre università e nei nostri centri di ricerca. E’ venuto naturale, per noi che lavoriamo allo sviluppo di open business models, pensare di collaborare con alcuni di loro. E abbiamo avuto la fortuna e il piacere di riuscirci. Tutto nasce dal nostro buon Datasticker che vi abbiamo già raccontato.
Insieme, e grazie, ad Antonio Raschi, direttore di Ibimet CNR, abbiamo avviato da un po’ di tempo un bel dialogo di confronto e analisi delle loro ricerche e della loro applicazione. Insieme, abbiamo partecipato al convegno sul Consumo Suolo all’Expo di Milano, e a diversi incontri con Teo Georgiadis, Valentina Grasso, Alfonso Crisci e Marco Morabito.
Crisci e Morabito avevano compilato PyMeteoSalute, "una libreria python capace di stimare i principali indici biometerologici di comfort termico presenti in letteratura". Come risultato di questo confronto tra Datastickers e PyMeteoSalute nasce PorcellinoBot. PorcellinoBot si formalizza in un ordine, ricevuto via MEPA il 26 novembre 2015, da parte dell’Ibimet-CNR relativo ad un prodotto chiamato “Datastickers Light”.
Datastickers Light è versione “leggera” di Datastickers inserita nel MEPA e che era stata trovata funzionale da Ibimet per espandere l’interessante sperimentazione che stanno facendo sulle tecnologie di comunicazione dei dati meteo.
PorcellinoBot è un prodotto sviluppato da un privato (opensensorsdata) miscelando conoscenze e competenze pubbliche (Ibimet CNR).
Ecco perché abbiamo deciso di rilasciare il codice completo su Github.
Lo facciamo per un motivo: ogni prodotto acquistato dagli enti pubblici è un investimento per il pubblico e il pubblico deve beneficiarne senza restrizioni.
Crediamo che un prodotto comprato con soldi pubblici debba tornare al pubblico.
Siamo stanchi di leggere proposte civiche in stile “ora creiamo una repository per applicazioni opensource”, specie se a questa frase segue “..fatte con gli opendata”. Francamente, questo tipo di approccio al riuso non ha nessuna evidenza di successo.
Siamo annoiati e stufi degli ingenui dell’innovazione. E lo dovreste essere anche voi.
Se la pubblica amministrazione decide di investire comprando un applicativo, il codice di quest’applicativo, di ogni applicativo, deve essere accessibile e riusabile e documentato.
Crediamo che questa sia tra le uniche vere azioni che possa dirsi in linea con i valori dell’Open Government che, ricordiamo, il nostro governo sostiene e cerca (timidamente, per essere buoni) di implementare nei suoi piani d’azione.
Crediamo che assumere un impegno così ambizioso (ne siamo consapevoli) possa rappresentare un contributo effettivo che il nostro paese può dare agli attuali criteri di valutazione open government, applicati a livello internazionale. Siamo consapevoli che dovrebbe essere compito del governo fare certi proclami. In altre parti del mondo, infatti, questo accade. Ma in quelle parti, come ad esempio gli USA 1, il contesto e lo sviluppo storico delle amministrazioni pubbliche è molto diverso.
Non abbiamo in Italia attività interne di intra-preneurship, che permettono di armonizzare obiettivi strategici e organizzativi, policy pubbliche e asset tecnologici 2.
Abbiamo però (ancora) ottimi professionisti e ricercatori sia nel settore privato che nel settore pubblico.
Dargli le risorse – per le quali hanno già pagato – per lavorare sarebbe forse una delle più importanti innovazioni che si possano fare.
Un ultimo punto, che ci preme sottolineare, riguarda la sicurezza cibernetica. Crediamo sia fondamentale poter valutare in modo trasparente la qualità delle nostre infrastrutture pubbliche. E crediamo sia doveroso, nonché fruttuoso, permettere ai ricercatori e agli attivisti del settore, specie in questo momento storico, di poter esprimere le loro valutazioni e mettere a disposizione della collettività le loro competenze e le loro energie.
Il codice pagato con soldi pubblici deve essere accessibile al pubblico. Noi non lo chiediamo solamente, stiamo lavorando per costruire modelli che permettano di intraprendere questa azione in modo efficace e sostenibile.
Lo facciamo perché crediamo che nessun investimento possa dirsi davvero pubblico se anche solo un cittadino non possa beneficiarne.
Lo facciamo perché crediamo che questo principio possa avere un forte impatto sulla cosiddetta economia digitale e sul ruolo che l’Italia ambisce ad avere in materia di Open Government e lotta alla corruzione.
Lo facciamo perché pensiamo che il riuso delle risorse e la sicurezza delle infrastrutture può passare solamente attraverso la competenza dei nostri professionisti. Se solo gli venisse data l’opportunità e le risorse per guidare questo percorso.
Footnotes
-
A sostegno di quanto proponiamo rimandiamo al documento dall'oggetto Improving the Acquisition and Management of Common Information Technology https://software.cio.gov/ dove si legge The Federal Information Technology Acquisition Reform Act (FITARA)4 and the Office of Management and Budget's category management initiative5 address a number of IT management challenges by directing agencies to buy and manage common commodities – like commercial software – in a more coordinated way. To fully leverage the Government's vast buying power, improvements must be made at both the agency and the governmentwide level. Agencies need to move to a more centralized management structure so they can reduce underutilization and maximize the use of best-in-class solutions6. In parallel, governmentwide strategies, such as increasing the number and use of enterprise software agreements and developing better inventory tools, are needed to reduce duplication of efforts. The success of these governmentwide steps depends on the improvements that agencies make in their own license management programs. ↩
-
Per chi volesse approfondire la nozione di intra-preneurship rinviamo a Norman, M. (1982). Intrapreneurial Now. The Economist. Per chi fosse interessato a studiare modelli contemporanei di intra-preneurship, si veda l’Internal Unit 18F for Digital Government del US General Service Administration. Per chi invece volesse studiare le origini storiche del deficit italiano si rinvia al post Innovazione e Corruzione, breve ma chiara review di Costanza, C. (1993) "Informatica nella Pubblica Amministrazione" in La cultura Informatica in Italia, Bolati Boringhieri. ↩